Non leader, ma neanche follower. Per ciò che riguarda la mobilità elettrica del settore auto, l’Italia entra quest’anno nel gruppo degli aspiranti, ovvero quei Paesi che hanno avviato politiche e misure per lo sviluppo del settore, ma che ancora non possono essere considerati protagonisti. Anticipato al Sole 24Ore del Lunedì, l’EY Ev (Electric vehicle) country readiness index 2023 è la fotografia più aggiornata dell’effettiva maturità del mercato elettrico dell’auto globale, analizzato in base all’offerta del mercato, alla domanda da parte dei consumatori e alla regolamentazione degli Stati presi in esame. Una classifica che vede sul podio Cina, Norvegia e Stati Uniti (+4 posizioni dalla classifica 2022) e si allarga da 14 posizioni dell’indice 2022 a 20, con l’ingresso di sei Paesi: Australia, Messico, Austria,
Singapore, Brasile, Nuova Zelanda.
II focus sull’Italia
Il nostro Paese è al i2esimo posto della classifica, come nell’indice 2022, ma è di fatto in salita per l’espansione della graduatoria e perché nel 2022 era stato inserito nel cluster dei follower, l’ultimo dell’analisi. «L’Italia ha investito e sta investendo nello sviluppo della mobilità elettrica, ma ci sono diversi fattori che la separano dai Paesi leader nel settore», esordisce Giovanni Passalacqua, partner e automotive consulting leader di EY in Italia. «Ci sono limiti dal punto di vista industriale, sia in termini di produzione di batterie sia di veicoli stessi. Poi si rileva disparità tra le intenzioni di acquisto (43% ultima rilevazione ) e le effettive vendite di veicoli elettrici e ibridi 0’8,5% da inizio anno ad agosto, di cui il 3,9% di elettrico). Solo il 13% è disposto a pagare di più per l’elettrico e pesano ancora sia la spinta inflattiva, che limita il potere di acquisto, sia il costo dell’energia, che riduce il vantaggio economico». Secondo Passalacqua, i punti critici sono due: la filiera, che va dalle gigafactory per le batterie agli impianti per il loro riciclo, fino alla produzione (con la negoziazione in corso fra Stellantis e il ministero delle Imprese e del made in Italy, ndr). «Sono elementi della catena del valore su cui ci sono progetti che vanno consolidati, finanziati e messi in esecuzione». Poi, i prezzi. «Il mercato è ancora influenzato dalle differenze di costo con l’auto tradizionale, ce ne accorgiamo nel momento in cui gli incentivi vengono meno o sono difficili da ottenere». Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, associazione per la promozione della mobilità elettrica, ha una proposta che potrebbe far fare un balzo al parco auto elettrico: «Proponiamo di inserire un trattamento di deducibilità importante per le auto a zero emissioni nelle flotte aziendali, cosa che altri Paesi stanno facendo. Questo trascinerebbe il mercato. Sono auto che fanno tanti chilometri e hanno un ricambio piuttosto veloce, il che porterebbe nel giro di tre, quattro anni veicoli elettrici usati di buona qualità sul mercato dell’usato». Sul fronte degli incentivi la partita è duplice: «Quelli all’elettrico servono ad arrivare a quote di mercato tali da permettere al prodotto di diventare via via di massa e ad abbattere il prezzo. Per farlo, si potrebbero usare in modo più efficiente i fondi 2023 residui per gli incentivi all’acquisto di auto elettriche, quasi iro milioni degli originari 19o. Un capitolo a parte è il rinnovo del parco esistente, e va ricordato che l’Italia è l’unico grande Paese europeo che ancora incent ivai veicoli endotermici. Se l’obiettivo è anche quello di svecchiare il parco, vanno concettualmente ripensate le formule per togliere dalle strade i veicoli Euro o, i e 2 (il ministro Urso ha annunciato una loro rimodulazione per i proprietari di auto Euro o, 1, 2 e 3, anche con l’obiettivo incentivare la produzione italiana, senza però ancora spiegare come il governo intenda farlo)».
La classifica mondiale
La Cina mantiene la prima posizione e la consolida anche grazie a un mercato interno in cui oltre il58% dei consumatori intervistati da EY intende acquistare un’auto elettrica come prossima vettura (ad agosto i modelli elettrici hanno rappresentato un quarto delle vendite totali di auto, +11,2% su un anno). In seconda posizione la Norvegia, da sempre pioniera dell’emobility. Terzi gli Stati Uniti, come risultato degli investimenti approvati negli ultimi anni, fra cui 369 miliardi di dollari dell’Inflation Reduction Act e gli annunciati 15,1 miliardi per la conversione delle fabbriche di motori termici. Seguono Svezia e Regno Unito. Da quarta, la Germania diventa ottava. «Pesala riduzione degli incentivi sui Bev (veicoli elettrici) e la loro eliminazione per i Phev (ibridi), a fronte di Paesi che li hanno mantenuti. Questo ha avuto un impatto sui tassi di crescita, pur essendoci nel Paese una buona penetrazione dell’elettrico, comunque impattata dal costo dell’energia», continua Passalacqua. Perdono una posizione scendendo al decimo e all’undicesimo posto ma rimangono nel gruppo degli aspiranti, Spagna e Francia, sorpassati dal Canada che avanza per il miglioramento delle intenzioni di acquisto (+6 %). Che si tratti di incentivi o regolamenti Eu, sia Passalacqua sia Naso sottolineano l’importanza di avere punti fermi. Da ultima a chiederli Acea, l’Associazione dei costruttori europei di automobili, che con una lettera indirizzata alla presidente della Commissione europea ha segnalato sei azioni chiave cui dare la priorità entro il termine del mandato. Si va dall’ampliamento del mercato europeo a emissioni zero alla garanzia di un contesto normativo stabile e coerente per il settore.
Il Sole 24Ore