La corsa che ha caratterizzato in questo primo scorcio di 2023 sia l’azionario che l’obbligazionario suggerisce di ampliare l’orizzonte d’investimento al di là delle asset class principali, alla ricerca di opportunità che possano aiutare a diversificare il portafoglio. Il ragionamento chiama in causa soprattutto le commodities, che da inizio 20023 registrano performance contrastanti, anche se nel confronto a tre armi sono quasi tutte in terreno positivo. Nel confronto con febbraio 2020, segnala un’analisi di Cfo Sim, la migliore performance è stata messa a segno dal mais, che è cresciuto di quasi 1’80%, quattro punti in più del caffè, mentre il gasolio sale di due-terzi (nonostante il recente ripiegamento), poco più del rame, con il petrolio in progresso di poco più del 40% relativamente alle
varianti Wti e Brent. Scorrendo la graduatoria, non ha dato grandi soddisfazioni l’oro (11% di guadagno),
che fa meglio solo del platino (meno 2%), l’unica materia prima in terreno negativo. Il segno meno è invece più frequente nel confronto con fine 2022, con gas naturale (meno 49%) e gasolio (meno 17%) a
guidare i ribassi alla luce di un inverno fin qui mite e dello stoccaggio da parte dei Paesi occidentali,
che ha permesso di ovviare alla stretta sull’import russo. Perdono intorno al 10% argento e platino,
mentre il mais è sostanzialmente stabile, il petrolio in leggero calo e l’oro poco sopra la parità. Detto di quel che è stato, cosa attendersi da qui in poi, considerato che da una parte il rallentamento del ciclo dovrebbe comportare un calo nei consumi di materie prime, dall’altro il persistere di un’inflazione elevata potrebbe spingere la domanda verso gli asset rifugio? «L’investimento in economia reale può proteggere il patrimonio dall’erosione prodotta dal carovita e accrescere la diversificazione rispetto a classi di investimento che nelle ultime settimane hanno corso tanto», nota Giacomo Chignoli, consulente finanziario di Gamma Capital Markets. Quanto agli strumenti per farlo, mentre gli investitori istituzionali tendono a utilizzare strumenti derivati come i futures (scommesse sul prezzo in una data di là da venire), per il retail esistono soluzioni più semplici, come i fondi comuni, gli Etf e gli Etc. In tutti i casi si tratta di portafogli che al loro interno presentano una pluralità di titoli, i primi caratterizzati da una gestione attiva da parte di professionisti degli investimenti, mentre gli altri due tendono a replicare le performance dei sottostanti. La conseguenza è che i fondi hanno commissioni più elevate. Inoltre, mentre i fondi e gli Etf investono in società che fanno business nel campo delle materie prime (come
aziende petrolifere ed estrattive), gli Etc hanno come sottostanti direttamente le commodities. Tra gli indici internazionali che consentono di monitorare globalmente questa asset class, i più noti sono il Bloomberg Commodity, che replica 23 materie prime tra energia, metalli preziosi, metalli industriali,
allevamento e agricoltura, e il Rogers International Commodity, che ne replica 38 e riguarda tutti gli ambiti. «Da questi indicatori emerge che la migliore performance a un anno riguardi il carbone, ma con l’affievolirsi del caro energia la nostra indicazione è dì guardare altrove», aggiunge Chignoli. Il quale vede un buon potenziale soprattutto per «il magnesio e per i metalli utilizzati nelle nuove tecnologie a cominciare dal titanio, impiegato sia nei motori aerospaziali, sia negli impianti dentali e nella produzione di telefonini». Per l’esperto l’esposizione a queste commodities, così come al cobalto, può essere una strada per chi ha conoscenze finanziarie elevate e una buona tolleranza della volatilità. In caso contrario, meglio puntare su strumenti che diversificano tra le varie commodities oppure orientarsi verso l’oro, tradizionalmente più stabile. «In generale siamo ottimisti verso il comparto delle materie prime perché constatiamo che all’aumento della domanda corrisponde un’offerta stazionaria, una tendenza destinata a essere confermata per lo meno fino alla fine del prossimo anno», annota Andrea
Caraceni, amministratore delegato di Cfo Sim. Il quale invita comunque alla prudenza in questo campo, considerato che spesso i prezzi nel breve sono «guidati da aspetti politici sui quali si innesta anche la speculazione, dinamiche che poco hanno a che fare con i fondamentali, che invece tornano cruciali se si investe con un’ottica di lungo termine». Caraceni vede un potenziale di crescita soprattutto per le materie prime alimentari, per una serie di ragioni: l’interruzione di alcune catene globali di approvvigionamento che prosegue, anche se su livelli inferiori rispetto ai mesi scorsi; il fatto che i consumatori siano disposti a pagare di più a fronte di prodotti di qualità più elevata della media; l’attenzione crescente verso alimenti salutari come i superfood e quelli adatti a diete specifiche (come
chetogenica o senza glutine). Caraceni guarda con maggiore prudenza alle materie prime energetiche,
almeno per quanto concerne l’anno in corso, a causa del rallentamento del ciclo economico. Diversamente, a medio-lungo termine la transizione ambientale dovrebbe sostenere alcune nicchie, come gli oli usati, fondamentali per le politiche di economica circolare, oltre che tutti i materiali necessari allo sviluppo delle energie rinnovabili, destinate ad assumere un peso via via crescente nel
mix energetico. Infine uno sguardo all’oro che, dopo aver toccato il massimo storico di oltre 2 mila l’oncia nel marzo scorso, ha innestato la retromarcia e ora viaggia intorno a 1.800-1.850 dollari. Sul metallo giallo, l’ad di Cfo Sim predica prudenza considerato che la crescita globale, per quanto su livelli contenuti, potrebbe far venire meno il valore di asset rifugio del metallo giallo. La pensa allo stesso modo l’agenzia di rating Fitch, che ha stimato un prezzo medio di 1.750 dollari nel 2024, 1.700 l’anno a seguire e 1.690 nel 2026.
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