Filiera dei motori auto, le imprese chiedono un piano di riconversione

Un’accelerazione che arriva dall’Europa e che secondo le imprese dell’automotive italiane non rispetta il principio della neutralità tecnologica e mette a rischio quella fetta di industria che si occupa dipowertrain. Secondo le stime dell’Anfia sono almeno 600 le imprese che in Italia lavorano su componenti e sistemi collegati alla produzione di motori endotermici, a benzina o diesel, con un numero di addetti compreso trai 5o e i 6omila. Uno dei temi al tavolo Automotive aperto al Mise è di particolare importanza. L’Unione europea potrebbe decidere di mettere al bando i motori “tradizionali” a partire dal 2035 con importanti ricadute sul tessuto industriale italiano ed europeo. «La transizione ecologica è una strada tracciata – commenta Gianmarco Giorda, direttore di Anfia – ma riteniamo che
la decisione europea sia univoca, trahchant e non rispetti il principio della neutralità tecnologica perché di fatto privilegia soltanto la tecnologia elettrica. Noi pensiamo che ci siano altre possibili soluzioni sostenibili come il b-fuel o l’idrogeno. Serve poi una attenta valutazione dei tempi della transizione ecologica».

La contrazione dei volumi

La contrazione nei volumi produttivi di motori a combustione è già in atto – come ha rivelato il report della FimCisl anticipato al Sole 24 Ore – «con un calo della produzione dal 2016 ad oggi del 33% – ricorda Ferdinando Uliano, della segreteria nazionale della Fim-Cisl – mentre abbiamo di fronte un arco di tempo molto stretto che espone tutto il settore a preoccupanti ripercussioni sul piano occupazionale, in particolare per le fabbriche di motorie cambi presenti in Italia, a cui si aggiungono poi tutte le imprese della componentistica dell’indotto e della manutenzione». Si tratta di un trend industriale che sta già provocando una serie di ripercussioni su aziende italiane e multinazionali radicate nel territorio.

Le criticità

Ha fatto il punto sulle situazioni più critiche Michele De Palma, della segreteria nazionale della Fiom, in occasione dell’ultimo incontro al tavolo automotive coordinato dal ministro Giancarlo Giorgetti. «Negli anni abbiamo già registrato chiusure, dalla FIoneywell in Abruzzo alla TRW di Livorno. Con Io sblocco dei licenziamenti siamo impegnati a contrastare le iniziative unilaterali da parte di multinazionali e fondi di investimento che, oltre a colpire l’occupazione potrebbero minare la capacità industriale del Paese, come dimostrano i casi della Gianetti Ruote, della GKN, e della Timken». In questo contesto già complesso emergono situazioni direttamente collegate alla riduzione dei volumi peri motori tradizionali: «Situazioni di crisi sono presenti alla Denso di Chieti – sottolinea De Palma – azienda che realizza motorini di avviamento, in cui sono stati dichiarati circa zoo esuberi, alla Bosch di Bari,
stabilimento che produce il diesel e dove a rischiare il posto sono 600 lavoratrici e lavoratori, alla Vitesco Tecnology Italy, con due stabilimenti a Pisa, che si occupano di ricerca e sviluppo e produzione di iniettori a benzina, su cui è previsto un piano di 750 esuberi, senza investimenti». Il preoccupante calo dei volumi produttivi, sottolinea ancora De Palma, «si somma al rischio della missione produttiva per interi stabilimenti, per esempio alla Marelli che produce sistemi di scarico o sospensioni perle auto endotermiche».

Gli incentivi

La politica degli incentivi, che pure sta contribuendo a tenere a galla le immatricolazioni di auto “tradizionali” con basse emissioni (fino a 135 gr/lun di CO2), non basta. E il Pnrr non garantisce grandi aiuti. «In Italia servono strumenti ad hoc per la trasformazione delle imprese dell’automotíve, che siano in grado di mettere le aziende in condizioni di riconvertirsi, come incentivi per Ricerca e Sviluppo e nuovi macchinari» aggiunge Giorda dell’Anfia. Alle incertezze legate alle motorizzazioni, si affianca una fase, spiega Giorda, in cui «i grandi costruttori stanno verticalizzando le produzioni, sia per motori elettrici che per componenti plastiche, perché hanno bisogno a loro volta di reimpiegare risorse e stabilimenti». La torta dunque rischia di ridursi con pesanti ricadute per la componentistica. Basti pensare che i motori rappresentano, dopo le parti meccaniche, la seconda voce nell’export del settore, con oltre 4 miliardi di beni esportati (nel 2019). Il tavolo sull’automotive è aggiornato a fine agosto: si dovrà lavorare su misure ad hoc. «Chi oggi produce marmitte – conclude Giorda – non potrà riconvertirsi in tempi brevi. Serve una “cassetta degli attrezzi” focalizzata sul settore». Le proposte vanno dagli incentivi fiscali per riconversioni produttive, al potenziamento delle agevolazioni a ricerca, sviluppo e innovazione, passando per fondi dedicati alle tecnologie per la mobilità del futuro, strumenti fiscali per agevolare le aggregazioni tra imprese e taglio del costo del lavoro per giovani e aziende del Sud. Serve una cornice di politica industriale, ma le aziende del settore non stanno a guardare: «Non crediamo che il nostro mondo possa scomparire domattina – sottolinea Enrico Dell’Artino, ceo dell’Asso Werke, azienda pisana attiva nel mondo dei motori da oltre settant’anni con 53o addetti e 5o milioni di fatturato ma prepararsi ad altre prospettive industriali è indispensabile. Noi vogliamo entrare nella partita dei combustibili alternativi e del powertrain elettrico, mettendo a disposizione le nostre competenze». In questo quadro però un’azione di coordinamento dal punto di vista governativo è essenziale, aggiunge. In lavorazione. La produzione di componenti per il motore termico della Asso Werke.

La neutralità tecnologica
Sul tema della neutralità tecnologica, poi, ci sono pochi dubbi: «Non crediamo che l’elettrico all’100% sia la soluzione
» sottolinea Simone Deregibus, nel Cda del Gruppo Holdim e procuratore di Dimsport, azienda che lavora da trent’anni nel settore dei combustibili alternativi. «Lavoriamo con player nel settore del metano e pensiamo che nei prossimi 15 anni questa fonte da sola farà fatica a reggere: noi lo vediamo meglio con un veicolo ibrido». La formula migliore è quella che prevede un compendio tra elettrico e combustione, «un futuro per il motore a combustione che
tiene conto delle competenze e della quantità di addetti impiegati nel settore » argomenta. La famiglia dei motori
endotermici, dunque, secondo Deregibus, «può avere nuovi sviluppi, ci sono migliaia di applicazioni, può ancora avere un futuro».

@ilsole24ore

 

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