Elettrosiderurgia, allarme tra le imprese del rottame per i freni Ue all’export

Bruxelles orientata ad adottare già in ottobre provvedimenti sull’export Vezzosi: «Dal calo di valore dei rottami contraccolpi per i piani green»

La filiera italiana dell’elettrosiderurgia va allo scontro sul rottame. La presa di posizione dei produttori siderurgici a forno elettrico, in pressing sulla Commissione europea per ottenere barriere sull’uscita del rottame dai confini europei o altre forme di deterrenza per scoraggiare il dumping ambientale della concorrenza, sta mettendo in allarme gli anelli a monte della filiera elettrosiderurgica italiana. I commercianti e trasformatori di rottame sono contrari all’introduzione di elementi giudicati distorsivi per l’equilibrio di mercato e, in proiezione, in grado di mettere a rischio la sopravvivenza delle stesse aziende del comparto. «L’orientamento sembra chiaro, temiamo che
già a ottobre la Commissione europea possa adottare provvedimenti finalizzati a bloccare le esportazioni», spiega Cinzia Vezzosi, vicepresidente di Assofermet e presidente di Euric, la federazione europea delle imprese del recupero e del riciclaggio. «Il rischio – aggiunge – è che in questo modo il prezzo crolli e che le aziende del comparto ne subiscano le conseguenze. Se il rottame perde valore, viene meno la sua centralità nella circular economy e la convenienza a operare sulla filiera. Un paradosso, se guardiamo all’orientamento della Commissione europea in relazione agli obiettivi per il 2030». I produttori di acciaio hanno lanciato nelle scorse settimane un allarme (si veda Il Sole 24 Ore del 19 maggio), relativo al rischio che il Elettrosiderurgia, allarme tra le imprese del rottame per i freni Ue all’export rottame, materia prima seconda alla base della siderurgia a forno elettrico, finisca per essere accaparrato in misura sempre maggiore dalle siderurgie extraeuropee nell’attuale contesto di violenta ripresa dei mercati, che ha innescato una spirale al rialzo dei prezzi di tutte le materie prime. Per questo hanno chiesto un segnale dall’Europa, in difesa di una componente strategica per tutta la manifattura a valle che utilizza l’acciaio come
materia prima. Ma gli operatori a monte sottolineano che l’offerta di rottame sul mercato interno europeo è maggiore della domanda. Il processo produttivo a ciclo integrale è, come noto, prevalente in Europa, con il 58% della produzione derivante da minerale (completamente diversa la situazione italiana, con l’ex Ilva rimasta come unico presidio da ciclo integrale) e questo, spiegano da Assofermet, determina una grande disponibilità di rottame sul
mercato. Nel 2020, a fronte di altre un milioni di tonnellate di rottami ferrosi messi a disposizione dalle imprese del recupero e del riciclo, 77,8 milioni sono stati utilizzati, mentre i restanti 23,5 milioni sono stati esportati. Situazione opposta, come detto, in Italia, dove la domanda, pari a oltre 20 milioni di tonnellate, è organicamente superiore alla raccolta nazionale. Tuttavia – spiegano daAssofermet – questa domanda in esubero è stata sempre soddisfatta dagli acquisti effettuati sul territorio europeo: l’anno scorso l’Italia ha acquistato dai paesi europei 4,9 milioni di rottame ferroso. «Per questa ragione – spiega Vezzosi – le 45omila tonnellate di rottame di export dall’Italia verso paesi extra europei, ci tato dai produttori come campanello d’allarme, è da considerare fisiologico e proporzionale al mercato, anche considerando che nello stesso periodo le aziende italiane hanno acquistato fuori dai confini europei 3oomila  tonnellate di rottame allo scopo di calmierare il prezzo sul mercato nazionale». Il surriscaldamento dei prezzi,
nonostante la correzione delle ultime settimane, è però un dato sotto gli occhi di tutti. E i vertici di Assofermet non eludono il tema, soprattutto in uno scenario che, in prospettiva, potrebbe vedere molti cicli integrali europei costretti ad adottare soluzioni per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni. «Servono soluzioni che tengano conto delle esigenze di tutti gli attori della filiera – aggiunge Vezzosi -. Esistono delle alternative al blocco dell’export tout court. Si potrebbe, per esempio, fare in modo che venga imposto un contenuto minimo di riciclo per le acciaierie da altoforno. La quota di rottame, che già oggi viene utilizzata nel convertitore, potrebbe essere elevata – sottolinea -. Non abbiamo alcuna intenzione di remare contro, anzi condividiamo le preoccupazioni sull’aumento dei prezzi. Il rottame è una risorsa: se potesse essere tutto convogliato sul mercato interno, non andremmo certo a cercare i canali esteri. Sarebbe però utile sedersi a un tavolo e prevedere un’azione condivisa, per trovare un bilanciamento all’interno. Serve equilibrio, prevedendo anche meccanismi di “phasing in” (vale a dire un’introduzione progressiva e graduale) nel caso vengano adottate nuove misure. Scelte repentine – conclude – rischiano di produrre una decrescita del sistema. Nel breve periodo la domanda rimarrà praticamente inalterata, perché non è pensabile che l’auspicato processo di decarbonizzazione della siderurgia avvenga in pochi anni. Ma senza la predisposizione di opportuni correttivi rischiamo di trovarci in breve tempo con materiale in eccesso a disposizione da una parte con una filiera
del riciclo a rischio disgregazione dall’altra, a tutto svantaggio degli obiettivi di maggiore circolarità chiesti da Bruxelles».

@ilsole24ore

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