Acciaio e petrolio Mosca aggira l’embargo

La Russia inizia a tradire le sue difficoltà finanziarie nel sostenere le spese di guerra. Il tema è ricorrente negli ultimi mesi ed è stato rilanciato dal provvedimento appena deciso dal Cremlino che ha aumentato le tasse a suoi colossi energetici. Ovviamente con lo scopo di puntellare le entrate che alimentano l’aggressione all’Ucraina. Perché una cosa va riconosciuta a Mosca: sta tentando in tutti i modi di tenere aperti i canali commerciali per “piazzare” le sue esportazioni di materie prime. Anche bypassando sanzioni ed embarghi messi a punto da Stati Uniti, Europa, Giappone, Australia e tutto il fronte che sostiene il governo di
Kiev. E non stiamo parlando solo di gas e petrolio. Un caso di cui si è parlato poco, ma che Affari&Finanza è in grado di ricostruire riguarda l’acciaio. Cosa è accaduto? In pratica, si è venuta a determinare una situazione anomala in cui l’Ucraina non esporta più né il suo acciaio né i suoi semilavorati, essendo andate
distrutte la mega acciaieria Azovstal e parzialmente quella di Ilyich. Mentre la Russia, grazie a una finestra legislativa lasciata aperta dalla Ue, ha potuto continuare a esportare in parte i propri semilavorati verso l’Europa attraverso gli stabilimenti della Novolipetsk (Nlmk), dell’oligarca Vladimir Lisin, situati in Belgio. Il pacchetto di sanzioni annunciato dalla Ue il 15 marzo 2022 ha permesso di bloccare circa 4 milioni di tonnellate di acciaio russo destinate ai Paesi occidentali, lasciando però aperta la possibilità di esportare circa 4 milioni di tonnellate di lastre d’acciaio verso l’Europa. Spiazzando così la concorrenza ucraina, i cui impianti all’estero, in Italia e nel Regno Unito, hanno dovuto approvvigionarsi di semilavorati d’acciaio provenienti da altre parti d’Europa e del mondo, a
costi più alti. I1.6 ottobre 2022 avrebbe dovuto esserci una revisione dei prodotti sanzionati da parte della Ue, ma su pressioni del Belgio è stato concesso un periodo di grazia fino a settembre 2024 per i semilavorati di acciaio provenienti dalla Russia. Come mai il Belgio ha messo in atto simili pressioni? Perché altrimenti i due stabilimenti collocati a La Louvière e a Strasburgo, di proprietà della russa Nlmk, si sarebbero dovuti fermare per l’impossibilità di sostituire la materia prima russa, con gravi ricadute occupazionali per il Paese europeo. Con queste argomentazioni l’attività di lobby del gruppo russo presso i centri decisionali di Bruxelles ha prodotto i suoi frutti. Non solo. La normale produzione di acciaio della Nlmk Europe è di 2,5-2,9 milioni di tonnellate, mentre la quota
di importazioni permessa dalla Ue è di 3,7 milioni di tonnellate. Ciò significa che le acciaierie della Nlmk in Belgio e anche le sue filiali di Verona e Dan Steel in Danimarca, hanno potuto produrre un milione di tonnellate in più da rivendere sui mercati europei. Ne è riprova il fatto che nel 20221e importazioni italiane di acciaio russo sono praticamente raddoppiate (da 337 a 6.90 migliaia di tonnellate). E per di più queste importazioni sono avvenute a prezzi inferiori grazie al minor costo del prezzo dell’elettricità e del gas con cui sono stati alimentati gli impianti di proprietà russa rispetto a tutti i concorrenti europei e mondiali.
Il risultato incredibile provocato dal buco legislativo della Ue è stato che i produttori europei di acciaio sono stati obbligati a tagliare la produzione a causa dell’impennata dei costi dell’energia, della domanda calante e della maggiore concorrenza dei semilavorati provenienti dalla Russia. E in secondo luogo, che 2,25 miliardi di euro provenienti dalla vendita dell’acciaio russo all’Europa sono andati a finanziare l’industria bellica russa impegnata contro l’Ucraina. Altrettanto complicate sono le strade che portano il petrolio russo a raggiungere i porti di tutto il mondo, nonostante l’embargo all’importazione ciel greggio (dal 5 dicembre 2022) a cui si è aggiunto il divieto di importare prodotti raffinati (dal 5 febbraio). Il Cremlino si è organizzato allestendo una flotta “fantasma” di navi che battono bandiere “ombra” che arrivano nei porti europei con documenti di carico contraffatto. Per non parlare delle operazioni organizzate in mezzo agli oceani, dove le
petroliere realizzano il trasbordo del greggio, anche mischiato con materia prima che passa da Paesi non sottoposti a embargo. In ogni caso, come ha segnalato
il Financial Times, la Russia nel mese di aprile ha esportato più petrolio del periodo precedente alla guerra. Nonostante l’embargo, Mosca ha trovato mercati alternativi in Cina e India, dove si dirige 1’80 per cento del suo export. Ancora più complesso il caso del gas. Qui non è scattato l’embargo e si prevede che le esportazioni di gas russo verso la Ue nel 2023 scendano a circa 50-60 miliardi di metri cubi rispetto ai 140 miliardi di metri cubi del 2022 e ai quasi 200 miliardi del 2019. Sarebbero potuti essere ancor meno se Gazprom, il colosso controllato dal Cremlino, non si fosse organizzata aumentando dall’inizio dell’anno le esportazioni di GnI (il gas naturale liquefatto che viaggia via nave). Arriva soprattutto ai rigassificatori di Francia, Belgio e Spagna, ma non a quelli italiani, dove sono aumentate le forniture in particolare dagli Stati Uniti e dal Qatar. Ma nonostante tutti gli sforzi la Ue importa ancora il 10-15 per cento del suo fabbisogno da Mosca, con una quota che nei primi quattro mesi dell’anno in Italia è scesa fino al 7%. Per cancellare del tutto le forniture russe occorrerà aspettare il 2025 e l’entrata in servizio di tutte le navi rigassificatrici che in particolare Germania e Italia hanno acquistato l’anno scorso.

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