E- car e batterie: la corsa agli accordi per colmare i ritardi

San Juan, Argentina. A 6 chilometri dal confine col Cile, la perforatrice smuove la terra e alza una nube di polvere. Un rumore martellante si propaga tra le Ande. A 3.500 metri di altezza, oltre cento fori sono stati scavati nel suolo. È il sito di Los Azules, uno degli otto progetti di rame avviati in Argentina dopo che la domanda globale del metallo rosso è aumentata con l’elettrificazione delle auto, nonostante nel 2018 sia stata chiusa l’ultima miniera in Argentina. Ora Stellantis ha firmato un accordo da 155 milioni di dollari per garantirsi una parte delle 100mila tonnellate annue di rame di Los Azules e le trivelle sono tornate a rompere il silenzio delle montagne.

LA DECISIONE della Ue di vietare la vendita di nuove auto a benzina e diesel dal 2035 ha riorientato le strategie delle case automobilistiche europee sulle auto elettriche. Volkswagen, ad esempio, punta a fare dei veicoli elettrici 1’80% delle vendite del gruppo nella Ue nel 2030. Richiedono in media 185 kg di materie prime critiche a veicolo contro i 30 delle auto a combustibili fossili. Secondo i dati del Joint Research Center della Commissione Ue, “per soddisfare la domanda, l’Europa avrà bisogno di accedere a una quantità di litio 18 volte superiore entro il 2030 e 60 volte superiore entro il 2050”. Il rischio è dipendere da Paesi extra-Ue, come nel caso della grafite, che con circa 52 chili per auto è la componente principale. Il governo cinese ha annunciato che da dicembre gli esportatori locali dovranno ottenere un’autorizzazione per esportarla e si teme si possa allargare ad altre materie critiche visto che Pechino è anche il terzo produttore di litio al mondo, dopo Australia e Cile, e detiene ne il 60 % della capacità di lavorazione per le batterie a livello mondiale. Le case automobilistiche stanno perciò investendo nella catena di approvvigionamento. “Il collo di bottiglia è la capacità estrattiva. Per questo dobbiamo investire direttamente nelle miniere”, ha detto a
marzo il direttore tecnico di Volkswagen, Thomas Schmall. Bmw ha firmato un accordo da 335 milioni di dollari con la statunitense Livent per l’idrossido di litio in Australia, mentre Renault ha un accordo di sette anni con Managem Group per 5mila tonnellate all’anno di solfato di cobalto dal Marocco. Stellantis ha annunciato almeno 9 accordi, uno per 45 tonnellate di manganese dall’Australia. Le case auto stanno entrando anche nella produzione delle batterie. Se nel 2016 Matthias Mueller, l’allora Ceo di Volkswagen, definì “senza senso” e “troppo costosa” la creazione di fabbriche proprie, ora l’azienda prevede di costruirne 6 in Europa entro il 2030. Stellantis, invece, con Mercedes-Benz e Total Energies, a maggio ha inaugurato in Francia la sua prima giga factory, le prossime due saranno in Germania e in Italia, a Termoli, dove il governo ha annunciato che supporterà l’investimento da 2,3 miliardi con 370 milioni di euro.

IN TOTALE, le giga factory programmate in Ue nei prossimi anni, sono 46 per una capacità complessiva di oltre 1.400 GWh (oggi è di circa 75 GWh) eppure
non è chiaro se questi impianti ci smarcheranno dalla Cina, che nel 2021 deteneva già tre quarti della produzione globale di batterie. Oltre un terzo della capacità
prevista sarà infatti di proprietà di aziende non europee, tra cui la cinese Catl, il maggior produttore mondiale di batterie agli ioni di litio che prevede di produrre
celle a Erfurt, in Germania, e a Debrecen, in Ungheria. Anche gli annunci sono incerti. Ad esempio nel 2021, la produzione nell’Ue era solo al 26% della capacità annunciata. La Corte dei Conti europea ha messo in guardia: “La capacità produttiva si basa sugli annunci dei produttori, che spesso vengono ritirati e non sono
verificati in modo indipendente”. Tanto più in un periodo dove il programma di sovvenzioni degli Usa, l’Inflation Reduction Act, minaccia di sottrarre all’Europa diversi progetti. Nei primi nove mesi dall’avvio del pacchetto statunitense, i produttori di auto e batterie hanno annunciato investimenti per quasi 50 miliardi di euro negli Usa. “La catena del valore delle batterie dell’Ue rimane fortemente dipendente dalle forniture provenienti dall’esterno – continua la Corte -. Dal 2030, i
produttori dovranno far fronte a un’incombente carenza di materie prime”. Competere con Usa e Cina” è come partecipare a una gara di Formula 1 con una Fiat 500″, dice Julia Poliscanova, direttore senior dell’Ong Transport & Environment. D’altronde “la Cina ha messo sul tavolo soldi, cervelli e materie prime da anni,
assumendo la leadership”, conclude Corrado La Forgia, vicepresidente di Federmeccanica e Ceo della Vhit Spa. La società della componentistica automotive, con sede in Italia è stata acquisita dai cinesi nel corso del 2022.

 

Il Fatto Quotidiano

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