Ricavi in corsa, anzi no. Caro energia e conseguente inflazione, i nuovi protagonisti dello scenario macroeconomico, rimescolano le carte e costringono a rivedere i capisaldi del passato. Dove i valori correnti erano sovrapponibili a quelli reali, con la lettura dell’evoluzione del fatturato di un’azienda a offrire un’approssimazione ragionevole del suo stato di salute. Paradigma ribaltato oggi, nel momento in cui la corsa a doppia cifra dei ricavi si accoppia a una analoga impennata dei prezzi alla produzione. L’ultima stima di Cerved ben rappresenta il nuovo scenario, in cui l’andamento dei ricavi nominali incorpora un effetto prezzi sensibile che distorce l’interpretazione delle performance. Comunque diverse, tenendo conto anche della disomogenea capacità dei singoli settori di ribaltare a valle gli aumenti dei prezzi di materie prime e componenti. Così, tenendo conto del quadro attuale, tra incrementi esponenziali dei costi dell’energia, guerra russo-ucraina e pandemia, l’ipotesi base è che nel 2022 i ricavi delle aziende crescano in media del 16,4% a valori correnti, del 4,6% il prossimo anno. Valori che in termini reali si ridimensionano però in modo sensibile, rispettivamente al 2% e 1,9% in termini reali, evidenziando una realtà molto meno dirompente. Scenario che diventa ancora meno allettante nell’ipotesi più pessimistica,(inasprimento delle tensioni con la Russia, stop ai flussi di gas da Mosca, nuove restrizioni Covid) con ricavi reali in calo dello 0,2% già quest’anno, in vista di una ulteriore contrazione dell’1,1% nel 2023. Prendendo come riferimento il periodo pre-Covid, i ricavi dell’industria italiana nel 2023 sarebbero così più alti del 24% in termini correnti, ma solo di poco più di due punti in termini reali. Piccola crescita che si trasforma tuttavia in un deficit del 2,4% prendendo in considerazione il quadro peggiore. «La crisi energetica determinata dall’intensificazione del conflitto russo-ucraino – spiega l’ad di Cerved Andrea Mignanelli – comprime le prospettive di crescita dei fatturati in termini reali. Nello scenario più pessimistico si ipotizza l’interuzione dei flussi di gas dalla Russia, con una conseguente decelerazione dei ricavi delle imprese nel 2022 e una successiva contrazione nel 2023. In questo contesto, l’inflazione, l’aumento del costo del debito e il phasing out delle misure di sostegno potrebbero riacutizzare le difficoltà di un sistema già debilitato dal Covid». Prendendo come riferimento il 2021, il settore più colpito dal nuovo quadro è quello dei veicoli commerciali, i cui ricavi cedono 13 punti nello scenario base, 27 nell’ipotesi peggiore. Se il comparto auto pare in generale quello più a rischio, cali a doppia cifra sono previsti anche per larga parte della meccanica e metallurgia: fonderie e pompe, compressori e bulloneria, lavorazione di metalli non ferrosi e tubi in acciaio sono visti in calo rilevante, in più di un caso con frenate biennali superiori al io per cento. Allargando lo sguardo al periodo 2019-2023, guardando dunque al risultato finale rispetto allo status-quo pre-Covid, sono numerosi i settori ancora in rosso. Guardando allo scenario più pessimistico fiere e convegni sarebbero in deficit del 63%, seguiti in classifica da agenzie viaggi-tour operator (-49%), veicoli commerciali, alberghi e concessionari d’auto. Perdite tuttavia non universali, tenendo conto di settori che al contrario sfruttano la nuova congiuntura o il nuovo quadro normativo per piazzare invece incrementi significativi. Nello scenario base, ad esempio, tra 2021 e 2023 fotovoltaico e rinnovabili vanno quasi al raddoppio dei ricavi e in crescita decisa sono anche i servizi di logistica e commercio online. Se l’andamento dei ricavi in termini reali non pare particolarmente soddisfacente cosa accade ai margini? L’analisi Cerved in questo caso è più ottimistica, nell’ipo tesi che numerosi settori riescano a ribaltare a valle l’aumento dei costi. In media nel 2022 il margine operativo lordo delle aziende aumenta così del 14,5% nello scenario base, solo del 6,5% nell’ipotesi più pessimistica. La divaricazione valori correnti valori reali è ben visibile anche nei dati Istat che per il mese di giugno evidenziano un fatturato manifatturiero in crescita del 18% su base annua. Risultato però di una crescita dei volumi limitata all’1,6%, a fronte di un aumento dei valori di oltre 17 punti.
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