Auto elettrica, la sostenibilità più difficile è economica

Si chiamavano Thorens, Shure, Marantz. Ma anche Kodak e Polaroid. Qualcuno le ricorda ancora, altri forse non sanno neppure cosa erano e cosa facevano questi grandi nomi dell’elettronica e della fotografia. Vittime illustri di una transizione dal digitale all’analogico nella musica e nella fotografia. Le transizioni e le rivoluzioni, ancorché necessarie, non avvengono quasi mai in modo dolce e indolori. anzi il più delle volte scatenano drammi come disoccupazione e perdita di interi comparti industriali. Con l’auto elettrica il rischio di una distruzione del valore dell’industria (e del suo indotto) è molto concreto e di portata enormemente più grande rispetto alla. Beninteso, l’automobile che è nata elettrica (tra l’altro la prima a superare nel 1908 il muro dei 1oo orari era a batterie) e morirà elettrica, si questo non ci sono dubbi. Ma l’accelerazione verso la tecnologia Bev (Battery elettric vehicle a ioni di litio) imposta dalla Ue per lotta ai cambiamenti climatici rischia di essere eccessivamente cruenta e veloce. Del resto, lo stesso Carlos Tavares, numero uno del gruppo Stellantis che nove mesi fa ha riunito Fca e Psa, si è detto scettico e dubbioso sulle scelte Ue (molto indirizzate da potenti lobby come Transport and Evironment) che per inciso porteranno alla messa al bando dei motori endotermici entro il 2035. Di analogo parere, anche Akio Toyota, numero uno di Toyota, una delle case automobilistiche più innovative (pioniera dell’ibrido) che a più riprese ha dichiarato a più che l’elettrica a ioni di litio non è l’unica via forse neppure quella più verde. Anche dai vertici di Bosch un coro
di perplessità. E questo perché l’auto, che sulle emissioni di CO2, pesa in misura ridotta, rischia di pagare un prezzo più alto degli altri attori dell’industria (moda, alimentare per esempio). In Europa l’industria automobilistica dà lavoro a quasi 4 milioni di persone, circa un decimo dell’intera manifattura. In Germania gli occupati sono oltre 800mila, in Francia 23omila, in Italia 176mila. Uno studio del National Platform Future of Mobility, centro studi del governo tedesco, ipotizza nello scenario più avverso, di una transizione molto accelerata, la perdita di 400mila posti solo in Germania. Quasi uno su due. La riqualificazione è la chiave di volta. E in Germania sono molto avanti. Ad esempio, Bmw sta facendo crescere l’occupazione con skill tecnologici e ha adeguato l’impianto di Dingolfing dove produce la nuova iX con e i motori elettrici sono fatti internamente. Altre case da Mercedes a Bmw fino a, soprattutto, il gruppo Volkswagen hanno abbracciato senza se e senza ma la tecnologia a ioni di litio. «Privare l’industria automobilistica europea della propulsione termica – afferma Pier Luigi del Viscovo, direttore del Centro studi Fleet & Mobility – significa indebolirla nella competizione globale e contrarre il mercato domestico di oltre il 50%, che equivale a una forte contrazione delle attività produttive. Ora, questo sarebbe comunque accettabile se corrispondesse a un miglioramento almeno apprezzabile delle emissioni. Purtroppo il massimo che si otterrebbe, se tutte le auto (anche quelle già circolanti) fossero elettriche, sarebbe un meno 1%. A condizione che l’energia impiegata venisse non da gas, carbone o petrolio, come invece è oggi e in misura crescente, soprattutto in Germania». Il gruppo di Wolfsburg, che entro il 2030 venderà oltre il 70% di auto elettriche in Europa e costruirà ben 6 gigafatory, per espressa dichiarazione del ceo Herbert Diess plaude allo stop al termico proposto dalla
Commissione europea. Del resto a molte case automobilistiche interessano ora due aspetti: far crescere
il titolo in borsa (e gli annuncia effetto wow sulle e-car e anche su quelle a guida autonoma producono rialzi) e ridurre i costi. Il mantra è produrre meno auto, ma con più alto margine, meno addetti e una filiera più corta: con
molti meno attori e dipendenti. E questo perché l’auto elettrica, che tanto piace come game changer a società di consulenza come Accenture o Bsg) è intrinsecamente più facile da costruire perché c’è una miriade di pezzi in meno. Qualche esempio? Addio al cambio (non per nulla Zf, leder delle trasmissioni sta cercando una strategia di riconversione industriale). E che diMade in Germany. L’industria tedesca affronta la rivoluzione dell’auto elettrica
con stabilimenti carbon neutra! (nella foto l’impianto Daimler Factory 56 di Sindelfingen). Vw costruisce le bey
a Zwickau, Bmw ha riorganizzato in chiave green la fabbrica di Dingolfing o La filiera più corta, con meno imprese
e meno dipendenti, garantirà una riduzione dei costi di produzione La grande partita delle giga factory e il paradosso
dei risultati modesti sul taglio della CO2 re di fasce, fusioni di basamenti, pistoni? Senza citare tutta l’assistenza e i ricambi. E non si tratta di attività riconvertibili: chi fa marmitte non si metterà a fare pentole, chi lavorava come radiatorista dovrà trovare altro (e non è così semplice). L’auto elettrica non ha bisogno di olio (il poco che c’è non si
cambia) e la manutenzione è limitata a freni, sterzo, sospensioni e gomme. In pratica l’auto elettrica è quasi eterna se non fosse per la batteria destinata a “morire” in un arco temporale. ” le batterie vanno smaltite e riciclate e dunque tutto il processo di creazione dell’auto elettrica difficilmente può essere a impatto zero (anche perché le zero emissioni sono solo in macchina, quelle globali dipendono da come viene prodotta l’energia). Alcuni costruttori, Daimler per esempio, con Factory 56 di Sindelfingen e Vw per gli impianti come quello di Zwickau puntano alla produzione neutrale sulle emissioni di anidride carbonica . Insomma, l’auto elettrica è sicuramente disruptive, ma il rischio concreto è che lo sia troppo e la spinta Ue con l’obiettivo 2035 sia eccessivamente impetuosa rispetto alla capacità di trasformazione dell’industria, della domanda e delle infrastrutture

@ilsole24 ore

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