Il prezzo dell’acciaio si mantiene a livelli record in Europa come negli Stati Uniti e anche le difficoltà di rifornimento continuano (ormai da mesi) ad affliggere le imprese utilizzatrici. Ma la Cina oggi non viene più all’assalto dei mercati: le offerte di metallo dai fornitori del Paese asiatico scarseggiano, nonostante il mercato domestico sia meno remunerativo di quelli esteri. E mentre nel resto del mondo l’industria siderurgica corre in risposta al boom di domanda e ai margini finalmente generosi, nella Repubblica popolare le acciaierie ora tagliano la produzione. Un’inversione di tendenza particolarmente significativa in un contesto come quello attuale e da parte di un settore che per decenni è cresciuto all’impazzata, indifferente ai dazi anti dumping così come agli infiniti richiami delle autorità di Pechino, che a lungo hanno provato invano a ridurre l’eccesso di capacità siderurgica mediante la chiusura degli impianti più inefficienti. A certificare il cambio di passo sono le ultime statistiche di worldsteel, secondo cui a giugno la produzione globale di acciaio è cresciuta dell’11,6% su base annua a 167,9 milioni di tonnellate, mentre quella cinese ha registrato un modesto +1,5% (a 93,9 milioni di tonnellate): un incremento
irrisorio di fronte al +44,4% degli Usa e del Giappone, ma anche al +34,7% dell’Unione europea. Anche l’intero primo semestre risulta a due velocità, con una quantità straordinaria di acciaio sfornato nel mondo, oltre un
miliardo di tonnellate (+14,4%), ma una crescita inferiore alla media in Cina: +11,8% a 563,3 milioni di tonnellate.
Certo, il confronto è con il 2020 della pandemia, quando il colosso asiatico aveva superato il Covid e si era rimesso in moto ben prima degli altri Paesi. Ma su base congiunturale la tendenza diventa ancora più evidente: tra maggio e giugno di quest’anno le acciaierie cinesi hanno addirittura ridotto la produzione del 5,6%. C’era la necessità di sgombrare i cieli dalla consueta cappa di inquinamento in vista delle celebrazioni per il centenario del Partito comunista, all’inizio di luglio. Ma i tagli sono proseguiti anche in seguito. E anzi sembrano destinati a diventare ancora più incisivi nei prossimi mesi, visto che Pechino non si accontenta più di avere cieli puliti solo delle grandi occasioni. Il Governo cinese – che ormai fa sul serio nella lotta contro il cambiamento climatico – ha ordinato di mantenere la produzione siderurgica di quest’anno sui livelli del 2020: per raggiungere l’obiettivo le acciaierie nel secondo semestre dovrebbero ridurre l’output di almeno 58 milioni di tonnellate, calcola S&P Global Platts, ovvero
di circa 1’11% su base annua. Non sarà facile. Ma anche un risultato parziale potrebbe avere un impatto significativo. E a farne le spese, scrive Argus, dovrebbero essere soprattutto le esportazioni. Queste nel primo semestre sono aumentate dei 30% a 37,4 milioni di tonnellate. Con lo stesso ritmo nell’intero 2021 arriverebbero a 74,8 milioni, ossia il 39% in più rispetto al 2020. Ma con il giro di vite messo in atto da Pechino potrebbero invece calare,
avverte Mu Guoqiang, responsabile per l’import-export di acciaio della società statale Hebei Iron & Steel (Hesteel).
Un calo delle forniture cinesi un tempo sarebbe stato benvenuto. Ma nella situazione attuale potrebbe tradursi in
ulteriori difficoltà per gli utilizzatori di acciaio europei. In Italia gli operatori accusano tuttora problemi di approvvigionamento, secondo Siderweb, e i prezzi – sia degli acciai lunghi che dei piani e dell’inox – restano intorno ai massimi storici nonostante il periodo estivo, in rialzo di quasi il 200% rispetto a un anno fa.
@ilsole24ore